L'incontro fa parte del ciclo "CULTURA" organizzata dalDipartimento Culturadel teamGenovaCresce.
Lo scrittoreDomenico Benedetti Valentinipresenta il suo libro:
DIECI FAVOLE MORBIDE - Narrazioni allegoriche di vite e personaggi
Venerdi 12 Febbraio 2016 - ore 17.30
presso la storica sede del Circolo Bocciofila Lido -Via Gobetti 8b
Con "Dieci favole morbide" di Domenico Benedetti Valentini la Booksprint - giovane casa editrice di Salerno - si è assicurato un testo di
singolarissimo pregio, destinato non solo ad essere letto, ma molto
meditato e discusso. Presentando se stesso nella rovescina della
problematica copertina, l'autore si prende in giro: "Sono uno che per
volerne fare troppe, non ne ha fatta nessuna bene ". Falso. Falsissima
modestia, virtù della quale, del resto, poi confesserà di non abbondare.
In realtà Domenico Benedetti Valentini, avvocato e docente di materie
giuridiche, per quasi dieci anni consigliere regionale nella sua Umbria e
poi per quasi venti deputato al Parlamento e senatore della Repubblica,
presidente e vice presidente di più Commissioni parlamentari, segnalato
quale oratore parlamentare dell'anno per ben tre volte, praticante di
più discipline artistiche con assoluta priorità al teatro e alla
letteratura, è una sorta di versatile Apuleio, nel quale convivono
raffinatezza culturale e umori popolari fino alla degenerazione
populistica. Esonerato dalle candidature nel suicidio elettorale del
centrodestra italiano del 2013, Benedetti Valentini sta trovando più
tempo per i suoi intacitabili istinti espressivi, particolarmente a
vocazione artistica. Ed è in questo clima e contesto che ha dato alle
stampe e alla divulgazione "Dieci favole morbide", un volumetto di 141
pagine, nella cui prima di copertina compare un enigmatico fanciullo
senza volto e nella quarta una suggestiva sua immagine dovuta
all'abilità fotografica di suo figlio Filippo, giornalista, che ne ha
saputo fare, con magico taglio di luce, una sorta di quadro
caravaggesco.
Sono dieci "racconti brevi", tecnica letteraria nel narrativo che
predilige da sempre, con i quali, all'insegna della più manifesta
allegoria, affronta — per cosi dire — le "regole della vita". La natura
dell'uomo che è "non fondamentalmente buono, non fondamentalmente
cattivo" e che si "verifica" quando scopre di poter rappresentare
qualcosa per gli altri (Ribaldone). L'affidabilità della vita coerente e
la pazzia delle sue esasperazioni (II vecchio Barnaba). La vita come
esito di tutte le coincidenze e le fortuita o destini (li soldato
Ruggero). Il senso della giustizia per l'ultimo dei derelitti
(Abdelqader e il Commissario). Le opportunità che improvvisamente si
aprono per ciascuno in ogni luogo ed epoca (Corinna e il castellano). Lo
sposalizio tra la bellezza e la semplicità (Simplicio e Pulchreda),
L'amore per la città e la comunità in cui si vive (Il ragionier
Dainelli). Pensieri, ricordi e azioni quotidiane nell'ultima parte della
vita (Luigiacomo). La santità silenziosa nelle vite più ordinarie
(Ultimo). Lo sguardo fisso verso l'appuntamento con il dopovita terrena,
in una sconcertante raffigurazione di ciò che un'anima vi trova o non
vi trova, nella più assoluta immaterialità (L'anima di Guglielmo). Si,
le regole della vita, più "constatate" che commentate, senza avere la
pretesa di scoprire, né di lanciare messaggi espliciti, né provocazioni
più o meno alla moda, meno che mai di pronunciare giudizi etici. Ecco
perché queste "favole della vita" sono morbide: perché morbido ne è
l'impatto, sebbene tutt'altro che lieve sia il compendio degli
argomenti, la straordinaria ricchezza dei contenuti e delle riflessioni
che li colorano. Una galleria umanissima di personaggi e destini. Ma
sarebbe fuori strada chi la scambiasse per un'opera dettata da
"buonisnno", atteggiamento respinto e disprezzato sempre da Domenico,
animo fuori delle righe e dei pregiudizi, ma "conservatore" robusto e
indomito, di formazione perfino ideologica, seppur stemperata dalla
pratica politica e da molte frequentazioni culturali anglosassoni.
L'aspetto finalmente più godibile dell'opera è il linguaggio
assolutamente prezioso, l'inesauribile e creativo vocabolario, il
"divertimento" di adeguare ritmo e frasario al soggetto e all'epoca
presunta del racconto, il sapiente mosaico di aggettivi, superlativi,
avverbi perfino che portano sapore al periodo. Insomma siamo di fronte
ad un'opera che è caso letterario a Sé, digeribilissima nella forma
narrativa, ma pur sempre opera filosofica e, in molti passi,
contemporaneamente poetica. Vale aggiungere che l'autore ha fatto
seguire i dieci brani da una post-fazione, che ne propone autocommenti e
chiavi di lettura. Scelta giusta o ridondante? Si dice che al lettore
non vada preclusa la libertà di interpretare ed anche di immettere
contenuti e visioni propri nei testi, fossero anche i più evocativi. Non
è facile, dunque, giudicare la scelta: anche perché la lunga "chiosa" è
quasi un'altra opera riflessiva, che potrebbe eccitare sicuramente
ulteriori code recensive!
Pino della Gherardesca
NOTE SULL’AUTORE:
Avvocato cassazionista in penale e civile. Già Deputato e Senatore della Repubblica. Scrittore di narrativa e poetica. Animatore della Filodrammatica Umbra «Gino Fantoni».
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